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Mike.

4 giugno in Racconti

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Tutti i polli che conoscete sono senza testa. La maggior parte di voi ne avrà visti centinaia, sdraiati sul polistirolo, fasciati nel cellofan, senza piume, senza zampe e, soprattutto, senza testa.

Ciò che differenziava Mike da qualsiasi altro pollo senza testa era il fatto di essere vivo.

Ora, non sono un esperto di ornitologia, non ho mai tirato il collo a un pollo né, tantomeno, mi è mai saltato in mente di mozzare la testa a un animale con un’ascia, ma credo che quella utilizzata da Lloyd Olsen fosse una prassi usuale, se non corretta. Immaginate, quindi, lo stupore di questo allevatore che, partito con la ferma intenzione di uccidere un pollo, non ci riuscì e lo vide zampettare via senza testa. Poche ore dopo, decise di attribuire un nome, Mike, al pollo sopravvissuto. Dopotutto è importante la questione dei nomi. Anche Dio chiese ad Adamo di nominare le cose del creato. Di fatto, se oggi un pollo si chiama pollo lo dobbiamo ad Adamo e se Mike si chiama Mike lo dobbiamo al Signor Olsen. Se poi sia giusto dare un nome a un animale solo nel momento in cui non muore, è tutto un altro paio di maniche.

Insomma, capirete che Mike fu, da subito, un pollo speciale e, dopo alcuni giorni di sopravvivenza, fu chiara la sua natura fenomenale. Per questo, il Signor Olsen si trasformò da allevatore in saltimbanco e presentò la sua creatura al mondo con il nome d’arte di “Mike lo straordinario pollo senza testa”.

Nel millenovecentoquarantacinque la televisione non era ancora così diffusa ed è comprensibile immaginare che moltissimi americani volessero pagare qualche quarto di dollaro per vedere Mike entrare in scena con una testa posticcia, che in seguito veniva rimossa, e stupirsi di quanto la vita potesse essere ostinatamente radicata dentro a una creatura così insignificante. Dopo pochi mesi di tour, Mike valeva già diecimila dollari. Quando si sparse la voce, ogni allevatore del Colorado mise sul ceppo un pollo dietro l’altro, guidato dalla segreta ambizione di riuscire, con un colpo chirurgico, a non recidere la giugulare lasciando intatta almeno una parte del tronco encefalico, proprio come era successo per Mike. In breve, furono uccisi parecchi polli e, siccome nessuno degli allevatori riuscì a creare un altro Mike, l’unico considerevole fatto fu il vertiginoso incremento dell’offerta di polli che, in un libero mercato, non fece altro che abbassare il valore e l’appetibilità della merce.

Mike crebbe di circa tre chili, dopo l’asportazione della testa, ma non credo che molti allevatori sarebbero stati lieti di avere le stesse attenzioni che il Signor Olsen riservava al suo pollo. Sì, certo, Mike era vivo. E sì, certo, camminava e sbatteva le ali, ma, essendo privo di becco, non poteva alimentarsi da solo. Ci pensava il Signor Olsen che, con un contagocce riempito di latte e acqua, ingozzava il collo del pollo. Sì, il collo. Un’altra attività con cui il Signor Olsen si dilettava, era la rigorosa e quotidiana pulizia degli orifizi dell’animale la cui pratica necessitava di strumenti appositi.

Con un contagocce riempito di latte e acqua, ingozzava il collo del pollo.

Di questi particolari e dell’affetto che il Signor Olsen sviluppò per il suo pollo non voglio parlare, perché la loro favola finì dopo soli diciotto mesi, in un motel di Phoenix.

Sarebbe cinico descrivere, con dovizia di particolari, la cocente delusione e il grave senso di perdita che il Signor Olsen provò quando, per una banale dimenticanza, vide morire Mike per strangolamento.

Per questo, la chiudo qui.

Chiunque venisse a conoscenza della storia di Mike il pollo senza testa potrebbe pensare che il narratore, come un novello Esopo, stia utilizzando un escamotage letterario, dicendo una cosa e intendendone un’altra. Ad esempio, Mike potrebbe essere usato per sottolineare quanto sia importante saper cogliere le occasioni, anche le più eccentriche, che la vita propone. O quanto sia cruciale, per un imprenditore, trasformare i rischi in sfide e differenziare il proprio business. O, ancora, quanto sia inutile copiare l’innovazione altrui, senza comprenderne la reale essenza. Facendo riferimento all’eccidio di polli, si potrebbe alludere a una morale simile a “meglio un uovo oggi che una gallina domani” che vedrebbe premiata la parsimonia e punita l’avidità. Oppure la vicenda di Mike potrebbe alludere alla possibilità di un corretto svolgimento delle funzioni di un organismo a fronte della mancanza di un capo e, quindi, definirsi come metafora politica di un modello gestito dal basso. Infine, gli ultimi giorni di Mike potrebbero essere il correlativo dell’Amore, che all’improvviso ti toglie il fiato, ti dona felicità e fortuna, ma che, se non viene accudito quotidianamente, soffoca sotto la sua stessa essenza.

Potrebbe essere tutto questo o, semplicemente, la storia di Mike, il pollo che visse diciotto mesi senza testa.

Questo racconto è stato pubblicato nell giugno 2012 sul numero uno della rivista indipendente “Costola”. Originariamente, era accompagnato da due illustrazioni di Daniele De Batté

L’illustrazione che arricchisce questo racconto è stata realizzata, appositamente per questo blog, da Gianluca Sturmann.

 

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