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Coscia di mucca.

23 giugno in Graphic Design

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Parlando di Progettazione Grafica e tralasciando momentaneamente la sfera dei significati, la riproducibilità tecnica è uno degli aspetti fondamentali per la diffusione di un Marchio.

Dicendo riproducibilità, intendo la corretta riproducibilità di un segno. Per Marchio, intendo un elaborato grafico originale frutto di un progetto strutturato e coerente condotto da un professionista, non i disegnini che trovate sui cartoni delle pizze realizzati modificando delle clipart.

L’attuale inquinamento visivo cui siamo sottoposti non può essere solo colpa di dilettanti: in giro ci sono troppi marchi scorretti per non farmi sospettare che la riproducibilità sia un aspetto spesso sottovalutato anche da professionisti di ogni livello.

È elementare, se siete Watson.

Se siete miei colleghi avrete inquadrato l’argomento e, forse, avrete un’opinione in merito. Se, invece, siete profani o sedete dall’altra parte della scrivania come committenti, potreste legittimamente non avere le competenze necessarie a valutare un Marchio e avere le idee confuse su cosa lo renda corretto e riproducibile.

È giusto, nessun problema: a ognuno il suo mestiere. Anche io non ho idea di come funzioni un sifone, non so come si monti e mi accorgerei dei difetti di installazione solo dopo aver allagato il bagno. Con un distinguo, però: sbagliare un Marchio, crea danni meno immediati, meno tangibili e sicuramente più gravi di un po’ d’acqua in casa.

Cosa vuol dire riproducibile?

Ragionando per ipotesti, diciamo che avete una società e consultate un professionista per realizzare un Marchio.
Producete il documento di brief, seguite il progetto, lo approvate, lo pagate.

  • Poi un giorno fate una fotocopia della vostra carta intestata.
    E il vostro marchio non si vede bene.
  • Inviate un fax.
    E il vostro marchio passa come uno sgorbio completamente nero.
  • Ordinate una targa celebrativa in ottone.
    E l’incisore s’impicca dopo il dodicesimo campione.

Ecco, avete comprato un Marchio con problemi di riproducibilità.
Perché il progettista non ha pensato alla coscia di mucca.

Per fortuna era solo un’ipotesi.

Come su una coscia di mucca.

Credo che i marchi esistano per distinguere una proprietà da un’altra, un prodotto dall’altro e, a volte, un’idea dall’altra. Arcaicamente, ne sono certo, parliamo di capi di bestiame e, nella fattispecie, di marcatura a fuoco.

Allora, prima di proporre un Marchio (o prima di approvarne uno), fate questo per me: dal file del vostro Marchio fate produrre una marca da bestiame. Recatevi in un allevamento, comprate una mucca, immobilizzatela e marcatela a fuoco sulla coscia sinistra.

Il Marchio si capisce? Bene così.
Non si capisce? Male, il progetto deve ripartire da capo.

Se, come me, siete contrari al maltrattamento degli animali, potete solo immaginare la verifica della marcatura a fuoco. Tirate una riga? Pensate coscia di mucca. Avete un file fitto di segni come Caronte di Doré? Pensate coscia di mucca. State per fare una sfumatura? Coscia di mucca.

E via così.

Prima in nero.

Io parto sempre col nero. Ai progettisti consiglio di fare altrettanto. Non importa che si usi la matita, un pennarello, illustrator o una app: i segni, all’inizio, devono essere neri.

Scrivete in nero. Progettate in nero. Pensate in nero.

Poi ritornate dalla mucca. Funziona?
Ok, ora applicate i colori alle forme.

Volete la prova? Ecco nove marchi colossali che, in nero, funzionano perfettamente.

 

Semplicità.

Scandagliando internet troverete tantissimi aforismi, citazioni e periodi più efficaci di quelli che potrei fare io per perorare la causa della semplicità in ambito progettuale. Un virtuoso processo di sottrazione, ad esempio. Un punto d’arrivo, per dirne un’altra.

Qualcuno dirà che anche la complessità si può gestire. Che il digitale ha cambiato i paradigmi. Che sfumature e gradienti non sono “Il Male”. Che il web non è la carta. Che ora si può osare.

Ma quando la mucca che state cercando di marcare a fuoco si sposta, iniziano i problemi.

Per questo è meglio che le geometrie che regolano il vostro Marchio generino segni asciutti, essenziali, astratti.
In una parola, semplici.

Perché le mucche si spostano sempre. E, a volte, si spostano anche i vostri gadget aziendali.

Stressate le geometrie.

Un Marchio va valutato anche stressando le sue geometrie, come in una prova sotto sforzo che ne attesti la sana e robusta costituzione.
Durante il progetto, stampatelo piccolissimo (meno di 2,5 cm): mi ringrazierete quando dovrete fare delle spille (o un’icona social). Stampatelo molto grande: mi ringrazierete quando non dovrete rifare l’insegna di 12 metri per un uso sconsiderato delle curve di Bezier. Inclinatelo, riflettetelo, giratelo di 180°, per evitare che sia il primo Troll che passa a dirvi che il vostro nuovo Marchio, ruotato, sembra Batman (o peggio).

Eccezioni sì, ma regolate.

È giusto ricordare che esistono delle eccezioni che, peraltro, possono essere previste e regolate (ad esempio, quando in un Manuale Normativo si indica una versione del Marchio che cambia geometria tra versione a colori e versione monocromatica).

Ci sono anche comparti (il food, la moda) in cui è corretto e auspicabile avere Marchi descrittivi o, addirittura, illustrati (Mulino Bianco, KFC, Hermes, Versace).

Sono strade che un progettista può scegliere consapevolmente sapendo che, dal punto di vista della riproducibilità, dovrà gestire una maggiore complessità.

Non stupitevi, quindi, se esistono decine di Brand multinazionali con marchi complessi (Unilever, Nestlé), sfumati (UPS, Xerox, American Express), filettati (Red Bull), che, a essere radicali, sono poco riproducibili.

Esistono (e funzionano alla grande), perché sono la famosa eccezione che conferma la regola della coscia di mucca.

 

Non ho sempre pensato alle mucche.

Chiaramente, non dovrei iniziare un periodo con un avverbio di modo. Così come non potrei affermare di aver sempre progettato pensando alla coscia di mucca. Nel mio portfolio ho decine di marchi discutibili, alcuni dei quali sono riproducibili poco o niente. Sbagliando s’impara. Sul campo s’impara. All’allevamento s’impara. Forse è proprio per questo che, oggi, mi sento di scrivere un post così ricco di contenuti manichei.

Dopotutto vi ho detto che penso in bianco e nero, no?

 

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