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Progettare al telefono.

4 giugno in Graphic Design

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C’è questa storia che credo di aver sentito ai tempi dell’università, sui progetti al telefono. Mi pare che il protagonista fosse Lázló Moholy-Nagy, artista e pioniere di grafica, design e teatro. O, almeno, a me piace pensare che sia lui.

Mi capita di raccontarla spesso, quando voglio difendere l’importanza del progetto. Del progetto grafico, in particolare.

Chiaramente, per non incorrere in errori, evito le date, vagheggio sui luoghi, ma do alcuni parametri di riferimento: il fatto che Moholy-Nagy fosse ungherese (sapete che molte delle lingue ugrofinniche si trovano in pericolo di estinzione?), gli esordi Dada, il contributo al Bauhaus. Tutte coordinate che servono a dare credibilità alla storia e ad avvalorare la tesi che la storia supporta.

Controllo totale.

Che sia vera o meno, che sia stato nel 1920 o qualche anno dopo, che il protagonista sia Moholy-Nagy o Gropius o El Lissitzky poco importa.

Il succo della questione è che un buon progetto si deve poter dettare al telefono. La complessità, dato tempo infinito, non conta più di tanto.

Con parametri condivisi (carta millimetrata e tabella colori o assi cartesiani e mazzetta Pantone®) il progettista deve avere un tale controllo sul proprio lavoro da poterlo descrivere a parole, per punti, senza indecisioni, imprecisioni o possibilità di fraintendimenti.

Battaglia navale.

Ora, non vi sto suggerendo di progettare la vostra prossima brochure dettandola via telefono al tipografo. Dico solo di diffidare di tutto ciò che è arbitrario, ondivago, che sfugge a una definizione chiara: formato 20×20 centimetri al sangue, 16×16 in gabbia, font Helvetica, corpo 10 interlinea 12, impaginato a bandiera sinistra. Cose così. Come a battaglia navale.

“Il supervisore prendeva nota delle forme dettate nella posizione corretta. Era come giocare a scacchi per corrispondenza”

Verifica delle fonti.

Anche chi vuole scrivere un buon articolo deve avere un rigoroso controllo dei contenuti, in particolare delle fonti. Così che, adesso, la nebulosa storia che ricordavo e raccontavo, si è arricchita di alcuni particolari che ne aumentano la veridicità: era proprio Moholy-Nagy, erano cinque vasi di ceramica, era il 1922. Se non mi credete, cercatelo su Google. Resta il fatto che progettare al telefono è possibile. Lui l’ha fatto e io l’ho sempre saputo, anche prima di Google.

 

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